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17 luglio 2017

Albertavenator è un troodontide? - aggiornamento -

Sia chiaro, e nessuno si offenda... ma questa alluvione di paraviani nel 2017 pare irrispettosa verso altri cladi meno fortunati.
Evans et al. (2017) descrivono un frontale quasi completo dalla Formazione Horseshoe Canyon (base del Maastrichtiano) del Canada, e sulla base delle sue caratteristiche uniche istituiscono un nuovo theropode, Albertavenator curriei.
Gli autori confrontano Albertavenator principalmente con i troodontidi, clade al quale riferiscono questo nuovo taxon. La tassonomia dei troodontidi nordamericani del Cretacico Superiore è probabilmente da revisionare, dato che la grande maggioranza dei resti è attribuita a Troodon formosus, nonostante che l'olotipo del taxon sia un dente isolato i cui caratteri sono ampiamente distribuiti tra varie specie di Troodontidae, e quindi non sia diagnostico a livello di specie. Il fatto che un frontale sia simile ai troodontidi non è criterio sufficiente per riferirlo a quel clade, in quanto non tutti i caratteri condivisi da Albertavenator sono ristretti ai troodontidi. Ad esempio, la forma del frontale “ad L” (ovvero, con il ramo postorbitale in linea con la sutura parietale) sia condiviso con i troodontidi, mentre negli eudromaeosauri canadesi il frontale è “a T” (ovvero, con il ramo postorbitale spostato anteriormente rispetto alla sutura parietale). Tuttavia, la condizione nei troodontidi è plesiomorfica, ed è condivisa da altri paraviani, inclusi alcuni dromaeosauridi basali: pertanto, questo carattere non è una prova di affinità troodontidi, ma solo di non-affinità eudromaeosauriane. Purtroppo, Evans et al. (2017) non discutono molto la distribuzione di queste caratteristiche al di fuori di Troodontidae, a parte un confronto con alcuni paraviani (in particolare, gli eudromaeosauri canadesi). Inoltre, non viene svolta una analisi filogenetica, probabilmente a causa della estrema frammentarietà del taxon.
Tuttavia, tentare un test non nuoce...
Immesso in Megamatrice, Albertavenator risulta alla base di Unenlagiinae, anche se solo sulla base di un carattere (la proporzione tra ampiezza e lunghezza della coppia dei frontali, uno dei caratteri che distinguono Albertavenator dai troodontidi). [Aggiornamento: una seconda analisi, più esaustiva, colloca Albertavenator in Troodontidae, prossimo a Sinornithoides]
Questo significa che Albertavenator è un unenlagiino canadese? Ovviamente, no: è prematuro collocare un taxon così frammentario, ma sicuramente questo risultato mette un minimo di dubbio sullo status troodontide.

PS: io butto la provocazione... Albertavenator è il frontale di Richardoestesia.

Bibliografia:
David C. Evans, Thomas M. Cullen, Derek W. Larson, and Adam Rego 2017. A new species of troodontid theropod (Dinosauria: Maniraptora) from the Horseshoe Canyon Formation (Maastrichtian) of Alberta, Canada. Canadian Journal of Earth Sciences. 54:813-826.

07 luglio 2017

Comunicare la Scienza con Coscienza

Esiste una pluralità di linguaggi, e di modi di utilizzare tale linguaggi.
La paleontologia, ed in generale la conoscenza scientifica, può essere comunicata con innumerevoli modalità. Prendendo esempio dalla mia esperienza personale, ho comunicato la paleontologia in:

  • presentazioni per il pubblico generico (“dai 6 ai 99 anni”, per usare un sottotitolo di una di queste presentazioni)
  • caffè scientifici
  • interviste radiofoniche (quelle volte in cui mi è stato proposto, ho sempre rifiutato di andare in tv)
  • interviste telefoniche per report giornalistici
  • presentazioni in mostre tematiche
  • post non-tecnici su blog
  • post tecnici su blog
  • lezioni e seminari per corsi di laurea
  • workshop per corsi di dottorato di ricerca
  • articoli scientifici divulgativi su riviste non soggetti a revisione paritaria
  • articoli scientifici tecnici su riviste soggetti a revisione paritaria

Come vedete da questo non completo elenco di modalità, grossolanamente ordinata per livello di dettaglio tecnico, esiste una gamma molto eterogenea di contesti in cui parlare di paleontologia. Ogni contesto ha i suoi modi e linguaggi, leggi scritte e non scritte, convenzioni e attori. Sarebbe ingenuo e riduttivo usare il medesimo approccio in ogni diverso contesto, e difatti una obiezione che spesso rimprovero ad altri “comunicatori” è la relativa monotonia linguistica e stilistica. Non si può scrivere un post su un blog fingendo di preparare un articolo per Nature, e non si deve parlare ad un pubblico generico fingendo di essere ad un Congresso Internazionale di filogenetisti. Non si può considerare “comunicatore scientifico” qualcuno che si limita esclusivamente a riportare in modo semplificato delle informazioni di seconda mano. Al tempo stesso, non è corretto ed onesto sproloquiare in tecnicismi e forbite allusioni quando il proprio interlocutore manca degli strumenti per apprezzare tale messaggio: si riduce il monologo ad un soliloquio, ad una sublimata autoreferenza mentale nella quale si vuole solo dare sfoggio della propria erudizione. Sia chiaro, c'è chi concepisce i propri post e conferenze in quel modo, e ne ha diritto: ma a quel punto dovrà riconoscere che si è esplicitamente tagliato fuori dal “pubblico”, dalla collettività e dall'agire in seno ad una comunità più ampia e complessa. Il post tecnico ha come target un sottoinsieme di lettori diverso da quelli a cui è rivolto il post non-tecnico: il pluralismo linguistico e stilistico è quindi, a mio avviso, un elemento necessario al comunicatore scientifico, anche se questi si pone come “elitario”.
Questo bagaglio di esperienza e conoscenza, ma anche di dote innata (non tutti sono portati alla scrittura, o al tavolo di un “aperitivo scientifico”, o alla platea di un congresso... e niente uccide un tema interessante quanto una pessima esposizione frutto di incapacità comunicativa o della scarsa “attitudine” a porsi verso gli ascoltatori e lettori), è un carattere fondamentale che occorre al comunicatore scientifico. Non basta “saper scrivere”, non basta “conoscere la materia”; entrambe sono condizioni necessarie ma non sufficienti alla comunicazione scientifica: bisogna anche avere un feeling con il proprio pubblico, di qualunque livello esso sia (e di livelli ne abbiamo tanti).
L'auto-referenza, il parlare solo a sé stessi (o ad una ristretta cerchia di iniziati) non porta alcunché alla società dentro la quale il ricercatore e divulgatore è inserito e da cui trae la legittimazione e motivazione.
La Scienza è un atto di amore da condividere, non una pratica erotica autoreferenziale.

06 luglio 2017

Quando arriverà la Paleontonomia?

Da un certo film di un certo Kubrick (1968)


Nonostante l'enorme sviluppo tecnologico e la base scientifica che gli sta dietro, la grandissima maggioranza dell'umanità vive in uno stato di ignoranza o pseudo-conoscenza scientifica. Si tratta di una bomba culturale, già innescata, e che potrebbe un giorno esplodere, prodotta dalla deflagrazione di un sottile guscio di avanguardia scientifica sovrastante un enorme calderone di superstizioni e mitologie. La massa ignorante già ora fomenta le scie chimiche, le teorie complottiste, il culto post-New Age per una Naturalità tanto incontaminata quanto fittizia, e le numerose pseudo-culture antiscientifiche, oggi molto evidenti nella forma del rifiuto della scienza medica. Immaginate il giorno in cui questa massa acefala sarà coscenziosamente dirottata contro il medesimo sistema scientifico-culturale che la mantiene in vita...

Senza dilungarci troppo in questi scenari apocalittici, guardiamo ad una delle superstizioni più diffuse: l'astrologia.
L'astrologia ritiene, tra le varie nozioni che la fondano, che le costellazioni siano reali e che esse influiscano in qualche modo sulla nostra vita.
L'astronomia ci dimostra che le costellazioni non sono reali, ma sono illusioni ottiche, derivanti dalla proiezione di tutte le stelle dello spazio tridimensionale su un unico piano, quello della volta celeste. Molto spesso, la distanza tra alcune stelle di una medesima costellazione è maggiore della loro distanza dalla Terra: se le costellazioni fossero reali, quindi, dovrebbero includere anche il nostro pianeta. Evidente quindi che le costellazioni astrologiche sono errori di prospettiva dovuti dalla ignoranza della reale struttura dello spazio cosmico.

Al pari della astrologia, a livello popolare abbiamo un'altra “-logia” che genera mitologie derivanti da una errata valutazione della distribuzione degli oggetti nello spazio che li contiene: la paleontologia. Per molti, la paleontologia è una serie di connessioni reali tra eventi lontanissimi nel tempo, connessioni che hanno una influenza sulla nostra vita.
Al pari del mito che le stelle del Capricorno influiscano sulla nostra esistenza, così esiste il mito che la sequenza di ominidi africani plio-pleistocenici formino una sequenza filetica che influisce sulla nostra vita.
Sei bellicoso allo stadio? Non è colpa tua, ma della serie di ominidi africani che hanno lottato darwinianamente tra di loro, e di cui tu sei il glorioso discendente.
Tua moglie ti tradisce? Ciò è inscritto nella sequenza di tradimenti che le nostre femmine perpetrarono quando i sapiens migrarono fuori dall'Africa e si incrociarono con i neandertaliani. Lo dicono i fossili: collegate il cranio marocchino di 300 mila anni fa col cranio levantino di 100 mila anni fa, e poi col molare neandertaliano di 50 mila anni fa... ed ecco la vostra costellazione di fossili!

Non è così? Non è forse vero che nei fossili è ricostruibile una storia che porta a noi? Non dobbiamo forse cercare nella storia paleontologica le radici della nostra condizione attuale?

Al pari di un astronomo che ride delle favolette astrologiche, credo che sia giunta l'ora di diventare paleontonomi, e ridere delle favolette che continuano a raccontare in base ad una vulgata pseudo-scientifica chiamata pretestuosamente "paleontologia".

04 luglio 2017

Il Ritorno di Razanandrongobe



Possibile ricostruzione in vivo di Razanandrongobe sakalavae (artwork by Fabio Manucci)


Undici anni fa, Simone Maganuco, Cristiano Dal Sasso e Giovanni Pasini descrissero i resti frammentari di un grande archosauro scoperto nel Giurassico Medio del Madagascar (Maganuco et al. 2006). I resti, comprendenti un frammento di mascellare e alcuni denti, suggerivano una nuova specie di predatore di grandi dimensioni, dotato di denti molto robusti, in parte analoghi a quelli dei tyrannosauridi, e muniti di voluminosi denticoli marginali. A questi resti, Maganuco et al. (2006), diedero il nome di Razanandrongobe [pronuncia: “razanan-drun-gobè”] sakalavae, letteralmente “l'antenato della grande lucertola di Sakalava”. Data la frammentarietà dei resti, Maganuco et al. (2006) non vollero sbilanciarsi sulla collocazione tassonomica di Razanandrongobe. La mascella dotata di alveoli, l'ampio palato secondario ed i denti seghettati, erano chiaramente quelli di un archosauro. E tra gli archosauri, i candidati più papabili in cui includere Razanandrongobe erano due cladi: i theropodi oppure i crocodylomorfi. Tuttavia, non era possibile risolvere la questione in modo definitivo, con i resti a disposizione. Ambo le opzioni avevano pro e contro, e solo ulteriori elementi avrebbero potuto dipanare la questione. Di una cosa, comunque, Maganuco e colleghi erano sicuri: qualunque tipo di archosauro predatore fosse, Razanandrongobe era un gigante capace di generare una grande pressione con la forza del suo morso, come evidente dalle usure sui suoi denti.
Negli anni, abbiamo fantasticato in varie occasioni su quale potesse essere il clade e l'aspetto di questo enorme archosauro giurassico. La sua età e collocazione geografica lo rendono estremamente interessante, perché le faune del Giurassico Medio gondwaniano sono quasi del tutto sconosciute. Sebbene l'idea che Razanandrongobe potesse essere un nuovo theropode gigante intrigava parecchio, l'istinto mi diceva che l'ipotesi coccodrilliana aveva maggiore probabilità di essere corretta. E la stessa impressione era condivisa da Simone e Cristiano. Ad ogni modo, fintanto che nuovi resti non fossero stati trovati, la questione restava puramente nel campo della speculazione.

Alcuni anni fa, Simone mi comunicò la scoperta, da parte di alcuni paleontologi francesi, di due ossa del cranio di un grande rettile dal Giurassico Medio del Madagascar: un premascellare ed un dentale. Associati con queste ossa, erano dei grandi denti con la medesima forma e seghettatura caratteristiche di Razanandrongobe! Non solo la forma dei denti era la stessa, ma anche le dimensioni delle ossa corrispondevano a quelle dell'olotipo di R. sakalavae. Ed infine, dettaglio veramente intrigante, premascellare e dentale erano della medesima dimensione, suggerendo che potessero appartenere ad un singolo animale. Ma che animale? 
Simone e Cristiano con i nuovi resti di Razanandrongobe. L'olotipo (mascellare destro) è poggiato sul tavolo.

In uno studio pubblicato oggi, Dal Sasso et al. (2017) descrivono questi resti, che finalmente ci permettono di dare una forma e collocazione filogenetica plausibili a Razanandrongobe.
Il premascellare non lascia dubbi in merito alla posizione tassonomica di questo rettile: esso ha la narice esterna che non è rivolta lateralmente, bensì anteriormente, ed è priva del ramo anteromediale. Ovvero, Razanandrongobe aveva una singola narice esterna, formata dalla confluenza delle due narici ancestrali, narice che era rivolta frontalmente sulla punta del muso. Nessun theropode ha narici di questo tipo, mentre questo mix di caratteri è ampiamente distribuito tra i coccodrilli. Anche il dentale, munito di una lunga sinfisi mandibolare ed ornamentato lateralmente, è chiaramente riferibile ai crocodylomorfi piuttosto che ai theropodi. Quindi, Razanandrongobe è un enorme coccodrillo giurassico. Dal Sasso et al. (2017) includono Razanandrongobe in una della più aggiornate analisi filogenetiche di Crocodylomorpha, dove il mostro malgascio risulta in politomia con Baurusuchidae e Sebecidae, all’interno di Notosuchia. Notosuchia è uno dei cladi di Crocodylomorpha di maggiore successo, noto principalmente nel Cretacico e con alcune forme che sono persistite nel Cenozoico del Sud America. In grande maggioranza, i notosuchi erano forme prettamente terrestri, con alcuni adattamenti a livello del cranio e dei denti convergenti con i theropodi e, in alcuni casi, con ornithischi e therapsidi. Alcuni notosuchi hanno crani alti e stretti, con dentatura zifodonte, che ricordano i gorgonospidi ed i theropodi, ed erano chiaramente predatori. Altri hanno dentature che implicano una dieta onnivora, se non pienamente vegetariana. Interessante notare che Razanandrongobe ha alcuni caratteri tipici degli onnivori ed erbivori, come la forma ad "U" dell'arcata boccale, i denticoli marginali di grandi dimensioni portati su denti non compressi, e l'assenza di alveoli nella punta anteriore del dentale, che forse era ricoperta da una struttura cornea: possibile che R. sakalavae fosse onnivoro? Potrebbe essere la versione coccodrilliana di un orso? Dal Sasso et al. (2017) non propendono per questa interpretazione, anche se sarebbe molto intrigante valutare il suo grado di onnivoria.
In ogni caso, se il risultato delle analisi filogenetiche fosse confermato da futuri ritrovamenti, Razanandrongobe sarebbe quindi il primo notosuco scoperto nel Giurassico, ovvero, il più antico membro noto del clade, che estende il record di questo gruppo di oltre 40 milioni di anni prima di quanto conosciuto finora. Sebbene l’idea di un grande notosuco nel Giurassico Medio possa essere vista come inattesa e radicale, dato che questi crocodylomorfi sono noti principalmente a partire dalla metà del Cretacico, questo risultato è perfettamente coerente con le nostre aspettative filogenetiche: Neosuchia, il clade che comprende i coccodrilli viventi e sister-taxon di Notosuchia, è noto fin dal Giurassico Inferiore, e ciò implica che anche il suo sister-taxon, ovvero i notosuchi, deve essere esistito almeno da quel medesimo intervallo temporale. Razanandrongobe, quindi, colma un gap che ci aspettavamo fosse da colmare. Inoltre, la sua collocazione geografica, nella parte sud-orientale di Gondwana, quasi del tutto sconosciuta nel record giurassico, ci dice che probabilmente è là che dobbiamo cercare i primi notosuchi.

Io ho avuto l'opportunità di vedere direttamente queste ossa, lo scorso anno a Milano, nello studio di Cristiano e Simone, e sono rimasto colpito dalla dimensione e robustezza di questi resti: anche in assenza di altre ossa, i nuovi elementi confermano ulteriormente l'ipotesi originaria di Maganuco et al. (2006). Una stima conservativa ci dice che il cranio fosse lungo circa un metro, e che quindi l’animale fosse lungo almeno 5-6 metri. Solo i theropodi raggiunsero simili dimensioni tra i predatori terrestri giurassici. Dopo un decennio in cui questo enorme predatore è stato quasi del tutto ignorato nelle discussioni sulle faune mesozoiche, è tempo che Razanandrongobe riceva la doverosa attenzione, e sia elevato finalmente tra i suoi pari, nell'Olimpo dei Grandi Predatori Mesozoici.
Ricostruzione digitale del muso di Razanandrongobe in vista anteriore e confronto dimensionale con crani di altri Crocodylomorpha (R. sakalavae è in B).

Bibliografia:
Dal Sasso C., Pasini G., Fleury G., Maganuco S. (2017) Razanandrongobe sakalavae, a gigantic mesoeucrocodylian from the Middle Jurassic of Madagascar, is the oldest known notosuchian. PeerJ 5:e3481; DOI 10.7717/peerj.3481
Maganuco S., Dal Sasso C., Pasini G. (2006) A new large predatory archosaur from the Middle Jurassic (Bathonian) of Madagascar. Atti della Società Italiana di Scienze Naturali e del Museo Civico di Storia Naturale di Milano 147:19-51.